MISERIA e NOBILTA’- Teatro Carlo Felice Genova – 25 febbraio 2018

MISERIA e NOBILTA’- Teatro Carlo Felice Genova – 25 febbraio 2018
Credo sia meritevole riscoprire i classici della nostra storia artistica e letteraria  e riuscire a rielaborarli in altra forma d’arte diversa dalla precedente, prolungandone la vita;  questo   percorso  tutela e salvaguardia il nostro patrimonio culturale che viene portato alla fruizione anche dalle nuove generazioni.   MISERIA e NOBILTA’ – Teatro Carlo Felice Genova – 24 febbraio 2018 di Marco Tutino Opera in due atti liberamente tratta dalla commedia di Eduardo Scarpetta, soggetto, sceneggiatura e libretto di Luca Rossi e Fabio Ceresa. Regia, Rosetta Cucchi Assistente alla regia, Stefania Panighini Scene, Tiziano Santi Assistente alle scene, Alessia Colosso Costumi, Gianluca Falaschi Assistente ai costumi, Nika Campisi Luci, Luciano Novelli Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice e Teatro Verdi Salerno. Direttore d’orchestra, Francesco Cilluffo Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice Maestro del Coro Franco Sebastiani Personaggi e interpreti principali: Bettina  Valentina Mastrangelo Peppiniello  Francesca Sartorato Gemma Martina Belli Eugenio Fabrizio Paesano Cameriere/Contadino Nicola Pamio Felice Sciosciammocca Alessandro Luongo Don Gaetano Alfonso Antoniozzi Ottavio Andrea Concetti Mimi DEOS: Luca Alberti, Luisa Baldinetti, Filippo Bandiera, Emanuela Bonora, Dario Greco, Erika Melli, Davide Riminucci, Francesca Zaccaria. Credit photo: Bepi Caroli     Ispiratosi alla vicenda scritta da Edoardo Scarpetta, Marco Tutino scrive la partitura per questa nuova opera  in prima mondiale ed in allestimento con Genova e Salerno. La curiosità è forte soprattutto dopo il successo de ‘La Ciociara’ sempre di Tutino: le attese non vanno deluse neppure al Carlo Felice, già al primo ascolto della gradevole composizione che utilizza anche il valzer ed alcune dotte citazioni da arie operistiche e canzoni napoletane. Fin dalle prime battute si entra in sintonia con la musica dolce e vigorosa al tempo stesso, affidata all’appassionata direzione del  giovane direttore Francesco Ciluffo che  imprime forza descrittiva  e poesia. Gli elementi scenici riconducono al verismo cinematografico e la vicenda si svolge in una Napoli dell’immediato dopoguerra, nei giorni del referendum per scegliere tra monarchia e repubblica! I mestieri di muratore, barbiere, lavandaia e stiratrice vengono ovviamente tutti svolti in strada a far da naturale fondale scenico alla miseria che ha segnato quegli anni. Gli spaghetti fumanti sono attesi dal pubblico come la marcia trionfale nell’Aida e gli spaghetti arrivano, fumanti e tanti, pronti a sfamare, almeno per un giorno, i diseredati per cause politiche o sociali. Nel momento della ‘spaghettata’ la musica si fa ampia e porta alla naturale commozione.  Il secondo atto si svolge invece nell’abitazione di Don Gaetano e tra sostituzioni di persona e ritrovamenti di madre e figlio si giunge al lieto fine che conclude l’opera. La regia di Rosetta Cucchi è attenta ai particolari e fa muovere i personaggi con grande realismo. Le scene di Tiziano Santi rimandano alla classicità, escludendo ovvietà ed i costumi di Gianluca Falaschi anche in questo caso sono studiati in ogni dettaglio e calibrati ai ruoli. Apprezzato anche il coro diretto da Franco Sebastiani.   Venendo al cast, si può a buon diritto dichiarare che è di buon livello. Nei panni di Felice Sciosciammocca troviamo Alessandro Luongo con buona presenza scenica e voce arrotondata dai colori ambrati.   Valentina Mastrangelo nei panni di Bettina trae voce squillante ed armoniosa, così come Martina Belli  che nel ruolo di Gemma sfodera agilità e facilità negli acuti. Peppiniello è affidato al mezzo-soprano Francesca Sartorato  che si esprime con vivacità e bel colore.  Fabrizio Paesano interpreta il ruolo di Eugenio con scioltezza e buona intonazione e Nicola Pamio da vita prima al contadino e poi al cameriere con grande sicurezza. Andrea Concetti non delude mai con i bei colori scuri...

NABUCCO – Teatro Coccia Novara – 23 febbraio 2018

NABUCCO – Teatro Coccia Novara – 23 febbraio 2018
A volte nella vita si  ricercano oggetti, arredi che con la loro presenza ci rassicurino; così anche negli allestimenti teatrali, dove talvolta si esagera con gli elementi di scena, quando l’opera in sé contiene già tutti gli elementi per essere apprezzata! Il Nabucco di Pier Luigi Pizzi è sfrondata di tutto e lascia che la superba eleganza della semplicità, la faccia da padrone!   NABUCCO – Teatro Coccia, Novara – 23.febbraio 2018   Opera in quattro atti Musica di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842 Nabucco (Nabucodonosor), re dei Babilonesi                      ENKHBAT AMARTUVSHIN Ismaele, nipote di Sedecia re di Gerusalemme                    TATSUYA TAKAHASHI Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei                                       MARKO MIMICA Abigaille, schiava, figlia adottiva di Nabucco                       REBEKA LOKAR Fenena, figlia di Nabucco innamorata di Ismaele               SOFIA JANELIDZE Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia                       GJORGJI CUCKOVSKI Anna, sorella di Zaccaria                                                          MADINA KARBELI Gran sacerdote di Belo                                                               DANIELE CUSARI Soldati babilonesi, soldati ebrei, Leviti, vergini ebree, donne babilonesi, Magi, grandi del regno di Babilonia, popolo (coro)   Regia, scene, costumi e luci               Pier Luigi Pizzi Direzione d’orchestra                         Gianna Fratta Coreografie                                            Francesco Marzola   Orchestra della Fondazione Teatro Coccia con Orchestra del Conservatorio Guido Cantelli Coro San Gregorio Magno   Allestimento della Rete Lirica delle Marche Produzione Fondazione Teatro Coccia Onlus Credit Photo : Mario Finotti   All’ouverture entra in scena un candelabro a sette braccia portato dai ballerini, che poi si affacciano, insieme al coro, sulla buca dell’orchestra e soddisfatti approvano con sguardi e sorrisi la direzione della stessa. L’essenzialità, anzi il minimalismo,  appaiono immediatamente quale dominante  elemento scenico del Nabucco che ci si appresta a vivere. La Musica è stupenda e senza attimi di tregua, viene diretta dalla direttrice Gianna Fratta  che  in totale femminilità esprime vigore e forza interpretativa con gesto molto ampio, chiaro e ben definito che esprime con attenzione e rigorosa puntualità. Marko Mimica è Zaccaria, il gran pontefice degli ebrei ed oltre a prestanza fisica esibisce con autorevolezza una voce possente e corposa timbricamente più che rilevante.  Enkhbat Amartuvshin,  rivelazione di questa produzione,  interpreta il ruolo del titolo con potenza, armonia e colore con un fraseggio talmente chiaro da essere invidiato  da interpreti  di lingua madre italiana (sono certo che ne sentiremo parlare). La perfida Abigaille incontra Rebeka Lokar che emette una potentissima vocalità e grande facilità negli acuti ed incantevole nelle agilità che l’ha fatta apprezzare ancor più che in Turandot recentemente al Regio di Torino. Le coreografie di Francesco Marzola sono semplici ed essenziali, quindi ben attagliate all’insieme ed i costumi si avvalgono del nero e di un punto di rosso che ritroveremo anche in altri momenti.  Regia, scene, luci e costumi sono di Pier Luigi Pizzi che fa...

La Cenerentola- Teatro Municipale di Piacenza 18 febbraio 2018

La Cenerentola- Teatro Municipale di Piacenza 18 febbraio 2018
Le favole, non saranno mica solo appannaggio dei bimbi, vero? eh no! Le favole sono la semplice ricchezza esistenziale di piccoli, grandi e grandissimi; le favole fanno sgranare gli occhi ai bimbi, possono essere raccontate dai grandi e fanno intenerire i grandissimi ovvero i giovani di qualche anno fa !!!! Quando poi le favole vengono raccontate in Musica la fantasia galoppa, la mente vaga per spazi infiniti ed il ‘core’ si intenerisce.   Domenica 18 febbraio 2018 ore 15.30  GIOACHINO ROSSINI LA CENERENTOLA Dramma giocoso in due atti di Jacopo Ferretti (Edizione critica Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi, Milano a cura di A. Zedda) Personaggi e Interpreti Don Ramiro: Antonino Siragusa Dandini: Paolo Bordogna Don Magnifico: Marco Filippo Romano Clorinda: Giulia Perusi Tisbe: Isabel De Paoli Angelina: Teresa Iervolino Alidoro: Matteo D’Apolito Erina YASHIMA, direttore Aldo TARABELLA, regia Enrico MUSENICH, scene Lele LUZZATI, costumi (proprietà della Fondazione Cerratelli, Pisa)  Marco MINGHETTI, luci Monica BOCCI, coreografie ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA Corrado CASATI, maestro del coro Coproduzione, Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Teatri di Piacenza ALLESTIMENTO DEL TEATRO DEL GIGLIO DI LUCCA   Il commento maggiormente udito in teatro domenica 18 febbraio al Municipale di Piacenza è stato: ‘la più bella Cenerentola che abbia mai visto’ e sinceramente è difficile scostarsi da tale impressione, in quanto è proprio quello che in diversi abbiamo recepito. Fresca realizzazione classica, ma decisamente allegra e ricca di improvvisazioni necessarie, in considerazione degli inserimenti all’ultima ora in sostituzione di Pietro Adaini e Pablo Ruiz colpiti da indisposizione. Domenica 18 febbraio il cast è risultato stellare e degno dei più importanti teatri d’opera: Antonino Siragusa seppur inserito nelle 24 ore precedenti, conosce talmente bene la parte che ha saputo esprimere i migliori acuti che Don Ramiro possa emettere e, conosciuto da anni, vien da pensare che il vino buono migliora con gli anni. Paolo Bordogna, anch’egli solidamente nel ruolo ha creato   Dandini in modo ben più che brillante e la vocalità è sempre al meglio così come per Marco Filippo Romano che esprime toni e colori ottimi per un Don Magifico di riferimento: un trio di cantanti ed amici che da ‘consumati’ protagonisti del palcoscenico non deludono mai e che anzi ogni volta pare facciano meglio della volta precedente.   La scena è stata realizzata da Enrico Musenich che ha optato per semplici ed efficaci pannelli  facilmente movibili ed intercambiabili, mentre i costumi classici e divertenti  sono del maestro dei maestri Lele Luzzati, mentre gli accorti disegni delle luci sono stati realizzati da Marco Minghetti ed il non facile compito della regia è stato brillantemente assolto da Aldo Tarabella. La direzione affidata ad Erina Yashima  è risultata puntuale ed equilibrata con il rilievo di un attento gesto rivolto anche al palcoscenico dove Monica Bocci ha realizzato delle simpatiche coreografie e la sorprendente Teresa Iervolino, la quale con bellissima voce e toni vellutati  ha dato vita ad una semplice Cenerentola che dopo un giro di danza diventa principessa nonostante le invidie delle sorellastre: Clorinda interpretata da una  bravissima Giulia Perusi che esprime una cifra di valore  e Tisbe, interpretata  da Isabel de Paoli decisamente interessante per vocalità e teatralità. Matteo d’Apolito realizza  un interessante Alidoro. II coro, valido ed importante elemento nell’opera, è stato diretto da Corrado Casati in ottimo affiancamento alla prestigiosa orchestra giovanile Luigi Cherubini. Molto probabilmente, considerata l’alta qualità espressa, si ritornerà al Municipale di Piacenza a breve per riconfermare che: La Musica vince sempre Renzo...

STEFANO PODA racconta la “sua”Turandot

STEFANO PODA  racconta la “sua”Turandot
Carissimo Stefano, sono rimasto talmente affascinato dalla tua messa in scena di Turandot, qui al Teatro Regio di Torino, che spontanea sorge una domanda: So che il progetto è in toto condiviso con Gianandrea Noseda a cui tu riconosci ampio merito nelle scelte coraggiose; in attesa dell’ultimo atto,  mi i racconti del perché di alcune scelte, ad esempio la moltiplicazione di alcuni personaggi ( e rifacendomi a Guido Gozzano potrei dire che immilli i personaggi)? Grazie Stefano ed un applauso alla tua realizzazione in attesa di un tuo ritorno in Italia ed a Torino a replicare l’immaginifico concreto,  che partendo da Thais è arrivato a Turandot!   Vedi Renzo, reca da sempre grande fascino il dibattito a proposito delle ragioni che impedirono a Puccini di completare la sua ultima opera: c’è chi adduce materialmente l’inquietudine dei primi sintomi della malattia, c’è chi parte dal dato delle lettere in cui il compositore confessa i suoi dubbi drammaturgici sul duetto finale, c’è chi analizza Turandot come un’eroina non pucciniana, e quindi estranea all’ispirazione del maestro. La verità, se non un insieme delle cause di cui sopra, forse è qualcosa che arriva da più lontano: Nel 1920 Puccini aveva esperito ogni forma di successo, era invecchiato oltre i sessant’anni (ricordiamo che Rossini smise di comporre trentottenne, mentre Verdi dopo i sessant’anni non compose che due titoli), aveva assistito alla Grande Guerra, e di sicuro sentiva il peso del tempo che avanzava inesorabile contro al suo modo di fare teatro, la violenza e la modernità del mondo di fronte all’universo intimo e fragile dei suoi personaggi prediletti. Così, inspiegabilmente, si affida per la prima volta (ed ultima, inconsapevolmente) ad un libretto fiabesco, ad uno sfondo fantastico, mentre ogni vicenda da lui musicata era stata concreta, vivida, riconoscibile, popolata di figure che modellano perfettamente sentimenti realistici e concreti. Forse un modo per evadere, o per creare qualcosa di completamente nuovo, o per lasciarsi andare a forme musicali libere di esplorare una certa visionarietà evocativa possibile soltanto in un mondo indefinito: quello che resta ai posteri è il dato che per la sua ultima opera, Puccini ha scelto inconsapevole una forma unica nel suo repertorio; ad aumentarne ancora l’unicità, si aggiunge il fatto che ancor più inopinatamente la morte arrivò a separarlo dalla stesura del finale (ricordiamo che egli si portò le bozze in clinica a Bruxelles!). Queste singolarità intrecciate sono già sufficienti – per un progetto drammaturgico – ad imporre di alzare lo sguardo più lontano rispetto alla vicenda di Turandot: il segreto di analisi di questa partitura non è accanirsi sul cortocircuito della trama, sulla storia d’amore irrisolta ed irrisolvibile, sul contenuto psicanalitico ermetico e desideroso di rimanere tale. Ogni tentativo in tal senso risulterebbe una vana ambizione interpretativa, un’idea intelligente forse ma facilmente rimpiazzabile da altre. No: la vera operazione che può ridonare alla Turandot pucciniana l’immenso valore che essa contiene, è finalmente considerarla come l’opera finale non solo della vita del maestro, non solo il corpo di un finale mozzo, ma come ultimo episodio della grande epopea dell’Opera italiana, cominciata quattro secoli prima con la Camerata de’ Bardi. È così semplice da sembrare ardito scriverlo: Turandot è l’ultimo vero, grande melodramma italiano – almeno nelle forme nate nei secoli addietro e consacrate dal nostro ‘800. Dopo Turandot si continuerà a comporre immensamente, certo, ma in tutt’altra vena: anzi, soprattutto, si continuerà a riesumare ciclicamente il grande repertorio, in una perenne ed ossessiva rievocazione storica dei grandi titoli: da Mozart a Turandot,...

TURANDOT – Teatro Regio Torino – 24 marzo 2018

TURANDOT – Teatro Regio Torino – 24 marzo 2018
Con un atto di superbia che non mi è né consono nè abituale, asserisco che nulla mi interessa dei conservatori e dei  detrattori in riferimento alla conteporaneizzazione della messa in scena delle opere liriche dei secoli scorsi. Senza visione, curiosità e forte introspezione prospettica di ’analisi del mondo che ci circonda, si resta ancorati a tempi che non tornano più e che i più giovani non possono nemmeno più comprendere. La salvaguardia della trama ed il profondo rispetto della scrittura sono sacri, ma EVVIVA a chi sa analizzare, creare , amare, divulgare e magari anche far discutere! Ebbene dopo aver visto la Turandot al Regio di Torino con la maestosa direzione orchestrale di Gianandrea Noseda e la visionaria messa in scena di Stefano Poda,  credo che si possano definitivamente mandare in soffitta archetipi  ammuffiti e stereotipate convinzioni! Per chi non l’avesse capito …ne sono uscito stregato ! E non perché (come dice qualcuno) parteggio per gli amici, ma perché le opere d’arte vanno riconosciute ed io non metto bende sugli occhi, paraorecchi e cerniere chiuse alle labbra…. Ed in grande rispetto ho atteso qualche giorno prima di trasferire le emozioni, per non cadere nella trappola dell’eccessivo entusiasmo scatenatosi nell’immediato. E per chi deve vedere per credere: https://operavision.eu/en/library/performances/operas/turandot# Turandot Dramma lirico in tre atti e quattro quadri Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi Musica di Giacomo Puccini Versione originale incompiuta Personaggi Interpreti La principessa Turandot soprano Rebeka Lokar   Il principe ignoto (Calaf), figlio di Timur tenore   Jorge de León   Liù, giovane schiava soprano Erika Grimaldi   Timur, re tartaro spodestato basso In-Sung Sim L’imperatore Altoum tenore Antonello Ceron Ping, gran cancelliere baritono Marco Filippo Romano Pang, gran provveditore tenore Luca Casalin Pong, gran cuciniere tenore Mikeldi Atxalandabaso Un mandarino baritono Roberto Abbondanza Il principe di Persia tenore Joshua Sanders Seconda ancella soprano Manuela Giacomini Direttore d’orchestra Gianandrea Noseda Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda Regista collaboratore e assistente Paolo Giani Cei Maestro dei cori Claudio Fenoglio   Orchestra e Coro del Teatro Regio Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi”   La sublimazione di Turandot è avvenuta! Si, Turandot, Liù e tutti i personaggi della narrazione sono stati sublimati e da uno status che tutti gli amanti dell’opera conoscevano, si è passati ad un etereo livello impalpabile, ma tremendamente  reale. Quando a dirigere è un ispirato Gianandrea Noseda e la messa in scena è realizzata genialmente da Stefano Poda ben poco resta da aggiungere, salvo voler essere cavillosi, pretestuosi  e conservatori a tutti i costi! Arcieri in bianco, il colore dominante della scena insieme al nero, appaiono sul palco e vigorosa prorompe la musica  ed il primo livello di beatidutine viene raggiunto. Rebeka Lotar nel ruolo del titolo si vede sottratto il finale, ma riesce comunque ad esprimere la limpidezza del suono e la sicurezza nell’emissione. Liù commuove fino all’ultima corda grazie alla voce di Erika Grimaldi (cui il pubblico riserva il più ampio tributo): è poesia allo stato puro, con modulazioni soffici e vellutate armonizzate da un forte sentimento partecipativo ‘Signore ascolta…’ Jorge de Leon cresce man mano che l’opera procede per giungere al ‘Nessun dorma’ del principe ignoto con convinzione e gradevolezza. Timur è molto ben interpretato da In-Sung Sim che esprime una cifra notevole per colore, autorevolezza e grazia. Antonello Ceron è l’apprezzato Imperatore Altoum, parimenti a Roberto Abbondanza nel ruolo di un mandarino. Le tre maschere sono interpretate da voci interessanti, anche Luca Casalin per il quale hanno annunciato...